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Il benessere in cucina è il protagonista delle ricerche di tendenza degli italiani nel 2024

Una ricerca di HelloFresh rivela il crescente interesse degli italiani per la “mindfulness” e il “mindful eating”

Il rapporto che lega il tema del benessere e della salute mentale al tema dell’alimentazione consapevole, la cosiddetta “mindful eating”, incuriosisce sempre di più gli italiani. Nella frenesia della società odierna, riuscire a focalizzarsi sui propri sensi mentre si acquistano ingredienti, si cucinano e si gustano, ha infatti degli effetti positivi sull’umore. Ben il 56% degli italiani associa i momenti dei pasti alla felicità, il 40% alla vicinanza con i propri cari e ad altri sentimenti come la sicurezza data dalla propria routine e la nostalgia per sapori legati alla propria infanzia.

Inoltre, quasi 8 italiani su 10 ritengono che gli alimenti che hanno effetti positivi concreti sul corpo possono contribuire a sentirsi più energici (78%); gli aspetti presi maggiormente in considerazione, quando si tratta di cibi che fanno stare bene, sono la freschezza (70%), la qualita? (65%) e la stagionalita? (64%) .

Per verificare l’aumento di interesse nei confronti delle tematiche legate all’alimentazione consapevole e al rapporto tra cibo ed emozioni, HelloFresh, servizio di box ricette a domicilio, insieme alla nutrizionista Silvia Bettocchi, ha commissionato una ricerca per indagare i trend online legati all’applicazione della mindfulness in cucina (in termini di felicità e benessere psicofisico) e individuare gli ingredienti associati al benessere più ricercati in Italia.

“Il mindful eating o alimentazione consapevole, promuove un nuovo approccio focalizzato sulla qualità dell’esperienza a tavola. Prevede, infatti, una maggiore attenzione non solo a cosa si mangia, ma anche a come si mangia. La pratica della preparazione dei pasti, dalla selezione degli ingredienti alla cottura e all’impiattamento, diventa così un’opportunità per coltivare la consapevolezza e dedicarsi del tempo ogni giorno. Questo momento di “pausa” dalla concitata routine quotidiana consente di connetterci con noi stessi e con il cibo in un modo più profondo, nutrendo la nostra mente oltre che il nostro corpo” afferma Silvia Bettocchi, Biologa Nutrizionista presso Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.

Alimentazione e felicità: la top 5 delle ricerche più popolari online in Italia Negli ultimi anni la consapevolezza della correlazione tra emozioni e cibo in Italia è cresciuta significativamente come dimostra l’aumento dei volumi delle ricerche online, con i temi della “mindfulness” e del “mindful eating” che registrano rispettivamente 36.000 e 2.630 ricerche medie mensili da gennaio 2021.

In particolare, HelloFresh ha identificato la top 5 dei temi di maggiore interesse che legano alimentazione e felicità: sul podio al primo posto nelle ricerche su Google l’associazione “alimenti e serotonina” (66%). Nota come “ormone della felicità”, la serotonina viene infatti prodotta anche sulla base degli alimenti che si assumono nel corso della giornata e una dieta variegata può contribuire ad una buona salute mentale e fisica. Al secondo posto si posizionano le ricerche online legate al tema “alimentazione consapevole” (22%), a dimostrazione della crescente sensibilità degli italiani per questa strategia alimentare; mentre al terzo posto con volumi di crescita più ridotti si posiziona il tema delle “diete antistress” (6%), seguito da “cibi per il buon umore” (4%) e “cosa mangiare per essere felici” (2%).

Alimentazione e benessere psicofisico: un argomento sempre più ricercato dagli italiani Le ricerche online di tendenza testimoniano inoltre che, oltre all’associazione tra cibo ed emozioni, gli italiani si interessano sempre di più anche all’alimentazione in relazione al benessere psicofisico. Nel 2024 si sono registrati volumi di crescita significativi per le parole chiave “cibi per abbassare la pressione” (2.000 ricerche al mese), il legame tra salute fisica e psicologica con la keyword “mente e corpo” e “cibi per la mente”.

La top 10 delle proprietà benefiche degli alimenti più googlate in Italia La scelta degli ingredienti ha un impatto significativo sulla propria salute fisica e mentale: per 8 italiani su 10 (82%) la frutta e la verdura di stagione hanno effetti positivi sul voler mangiare in modo più salutare . Questa attenzione al benessere psicofisico è anche comprovata dalla costante crescita delle ricerche online relative alle proprietà benefiche degli alimenti.

Nella top 10 italiana delle proprietà benefiche degli ingredienti più ricercati online, nel podio si posizionano le ricerche per l’aglio (la keyword “aglio fa bene” ha registrato un aumento del 69% del volume delle ricerche online rispetto al 2021), seguito dalle mandorle in seconda posizione e dal miele in terza posizione.

Continuano la classifica l’avocado in quarta posizione, un frutto che ha raggiunto molta popolarità negli ultimi anni, e i mirtilli in quinta posizione, con un aumento del volume delle ricerche della keyword “mirtilli fanno bene” del 129% dal 2021.

Completano la top 10 delle ricerche delle qualità nutrizionali che fanno bene al proprio corpo il peperoncino in sesta posizione, seguito dalla cipolla al settimo posto, dalle banane all’ottavo posto, dal limone e infine dallo zenzero.

“Il concetto di “mindful eating” viene impiegato per descrivere una strategia alimentare che sostiene l’importanza della piena consapevolezza dei propri sensi nel nutrire sia il corpo che la mente. Grazie al supporto dei dati provenienti sia dalle survey che dalle ricerche online che abbiamo commissionato, abbiamo osservato che in Italia la connessione tra cibo e benessere, psicologico e fisico, è sempre più ricercata” afferma Marine Faurie, CEO di HelloFresh Italia. “Le box di HelloFresh, con ingredienti freschi e pre-dosati e schede ricette dettagliate, sono progettate per supportare con semplicità le persone nella preparazione dei propri pasti, in modo che anche questa azione venga vissuta come una piccola pratica di “mindful quotidiana” conclude Faurie.

Fonte: askanews.it

I sintomi, le opzioni terapeutiche e l’importanza di una diagnosi precoce

L’endometriosi prende il nome dall’endometrio, il tessuto che normalmente riveste l’interno dell’utero. Quando questo cresce in modo anomalo al di fuori dell’utero, può causare lesioni e infiammazione in altre aree del corpo, come le ovaie e la zona pelvica, dando origine all’endometriosi: una malattia che colpisce circa 190 milioni di donne in età fertile (tra il 2% e il 10% della popolazione femminile mondiale), con una prevalenza che in Italia varia tra il 10% e il 15%. L’incidenza sale al 30-50% tra le donne infertili o con difficoltà a concepire. Le diagnosi accertate sono almeno 3 milioni.

“L’endometriosi è una patologia infiammatoria cronica, che colpisce soprattutto tra i 25 e i 35 anni, ma può manifestarsi anche in età più giovane – spiega Marco Grassi,ginecologo presso l’ospedale ‘C. e G. Mazzoni’ di Ascoli Piceno – le cause sono ancora poco note e la diagnosi, purtroppo, arriva spesso dopo molto tempo”.

Quali sono i sintomi? Il sintomo principale dell’endometriosi è il dolore, in particolare quello pelvico cronico, spesso associato a mestruazioni dolorose. Il dolore può anche manifestarsi durante i rapporti sessuali, l’evacuazione intestinale o la minzione. In alcuni casi, è così intenso da influire sulla vita quotidiana. Altri sintomi includono sanguinamenti abbondanti, disturbi intestinali e gonfiore addominale. Tuttavia, alcune donne possono non avere sintomi evidenti.

Come si diagnostica? “L’identificazione dell’endometriosi inizia con un’analisi dettagliata della storia clinica della paziente ed una precisa anamnesi – afferma il dottor Marco Grassi – inoltre è importante considerare la presenza di casi in famiglia, poiché esiste una predisposizione genetica alla condizione. Per una donna con sospetto di endometriosi, la visita ginecologica deve includere l’ecografia pelvica per rilevare cisti o tessuti anomali e, se necessario, una risonanza magnetica. L’endometriosi non è sempre uguale. I vari stadi L’endometriosi è suddivisa in quattro stadi, identificati dall’American Society for Reproductive Medicine (ASRM). La classificazione si basa sulla diffusione della patologia e sull’entità dei danni causati, che influenzano le opzioni terapeutiche disponibili.

Primo stadio: l’endometriosi è di entità minima, con lesioni di dimensioni contenute e il tessuto endometriale fuoriuscito dall’utero si presenta localizzato superficialmente.

Secondo stadio: il numero di lesioni è maggiore e sono più profonde.

Terzo stadio: aumento dell’estensione della malattia, con la presenza di cisti ovariche e la formazione di aderenze o cicatrici tra gli organi pelvici.

Quarto stadio: forma grave, con impianti profondi, cisti di notevoli dimensioni su una o entrambe le ovaie, e la presenza di aderenze e cicatrici.

L’endometriosi è inserita tra i LEA (Livelli essenziali di assistenza) nell’elenco delle patologie croniche e invalidanti. Nelle forme più avanzate (stadi III e IV), le pazienti hanno diritto ad esenzione per alcune prestazioni di controllo.

Esiste una cura? Non c’è una cura definitiva, ma diverse terapie possono gestire i sintomi, a seconda della gravità e del desiderio di gravidanza. Per il dolore, si utilizzano solitamente FANS e analgesici. “Nella scelta del trattamento è importante tenere in considerazione anche l’età della donna ed il relativo potenziale di fertilità – spiega il dottor Grassi – l’uso di estroprogestinico o progestinico può favorire un miglioramento dei sintomi, poiché inibisce la stimolazione ormonale e la crescita degli impianti endometriosici. Il trattamento con analoghi del GnRH, che blocca completamente la stimolazione ovarica e provoca effetti collaterali simili alla menopausa, è riservato a casi che necessitano di intervento chirurgico”.

Prevenzione Sensibilizzare verso la malattia è la migliore forma di prevenzione. “La scarsa consapevolezza contribuisce a un ritardo diagnostico di ben sette anni, con un impatto profondo sulla qualità della vita ed il benessere psico-fisico della donna” sottolinea il dottor Grassi.

E’ possibile rimanere incinta? L’endometriosi è responsabile di sub-fertilità o infertilità nel 30-40% dei casi. Tuttavia non è esclusa completamente la possibilità di restare incinta specie nelle donne che presentano forme meno gravi.

I cibi da mangiare e quali evitare? Si consiglia una dieta ricca di fibre (cereali integrali, legumi, frutta e verdura) e Omega 3 (pesce, frutta secca, semi, olio d’oliva, carne bianca e uova). Ridurre grano, carne rossa e latticini. Eliminare cibi infiammatori come prodotti industriali, farine raffinate, carni rosse, zucchero, alcol, caffeina e bevande gassate.

Lo sport aiuta? L’esercizio fisico stimola il rilascio di endorfine, che alleviano il dolore pelvico cronico, sintomo comune dell’endometriosi, e abbassa i livelli di estrogeni. Pratiche mente-corpo come lo yoga, possono ridurre stress, ansia e dolore, migliorando il benessere fisico e mentale delle pazienti con endometriosi.


Fonte: askanews.it

Basta ritardi nel rimborso dei bonus

La Regione Sicilia si appresta a digitalizzare la gestione dei buoni per i celiaci con l’adozione della piattaforma CELIACHI@RL di ARIA SPA, operativa da agosto prossimo. Una svolta attesa da tempo dai negozi specializzati, che però chiedono garanzie sui tempi di rimborso, spesso non rispettati. A farsi portavoce delle loro esigenze, informa una nota, sarà Michele Mendola, referente regionale di AINC – Associazione Italiana Negozi Celiachia e fondatore della community online CeliachiaFacile, nel corso dell’incontro promosso dall’Assessorato alla Salute della Regione Sicilia, in programma il 17 marzo.

“La Sicilia è una delle poche Regioni che ancora gestisce manualmente il rimborso dei buoni. Una volta utilizzato il bonus, l’esercente deve inviarlo alla ASP competente e, per legge, dovrebbe ricevere il rimborso entro 30 giorni. Tuttavia, questo termine non viene rispettato: i ritardi superano spesso i due mesi, a volte anche sei mesi e oltre, mettendo a rischio la sopravvivenza dei negozi specializzati” – spiega Mendola. La piattaforma CELIACHI@RL è stata sviluppata proprio per snellire la burocrazia e garantire una gestione più efficiente, con risultati positivi nelle Regioni che l’hanno già adottata. “Grazie anche al contributo di AINC, il sistema è stato ottimizzato e speriamo che in Sicilia possa finalmente garantire rimborsi puntuali. I negozi specializzati offrono un servizio essenziale per chi è intollerante al glutine e meritano maggiore tutela” – aggiunge Mendola.

Un ulteriore vantaggio della digitalizzazione riguarda i buoni spesa per i celiaci, attualmente utilizzabili solo nella propria Regione di residenza. Se la piattaforma verrà adottata su scala nazionale, sarà possibile spendere i buoni ovunque in Italia, facilitando la vita di chi si sposta per lavoro o per vacanza. Per illustrare le potenzialità della piattaforma e raccogliere le istanze dei titolari di negozi specializzati, AINC ha organizzato un incontro il 16 marzo a Palermo, presso l’Hotel Sirenetta, Viale dei Saraceni. Parteciperanno, oltre a Michele Mendola, anche Bruno Prandolini (Segretario Nazionale AINC), Giuseppe Fresolone (Amministratore Delegato di Ergo-Web) e Giovanna Manganotti (referente del Gruppo Sinergia).

Fonte: askanews.it

Studio Neuromed: “Risposta immunitaria protegge cuore da scompenso”

L’insufficienza cardiaca rappresenta una delle principali cause di mortalità legate all’ipertensione, una condizione che coinvolge milioni di persone in tutto il mondo. Ora uno studio guidato dall’Irccs Neuromed di Pozzilli e pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Immunity, svela un meccanismo biologico che coinvolge il cuore, il cervello e la milza nella risposta cardiaca al sovraccarico emodinamico cardiaco provocato dall’ipertensione arteriosa.

“Abbiamo scoperto – spiega Sara Perrotta, Ricercatrice dell’Irccs Neuromed, primo autore della ricerca – che il cuore, sotto pressione a causa dell’ipertensione, invia un segnale al cervello, che a sua volta attiva il sistema immunitario nella milza. Quest’ultima rilascia un fattore di crescita, chiamato Placental Growth Factor (PlGF), capace di stimolare specifiche cellule immunitarie presenti nel muscolo cardiaco, favorendo un rimodellamento inizialmente adattativo. Tuttavia, con il tempo, questo processo tende a peggiorare, compromettendo la funzionalità del cuore”.

La ricerca, condotta sia su modelli animali che nell’uomo, descrive un vero e proprio circuito biologico che collega tre organi: il cuore, che segnala il sovraccarico; il cervello, che processa l’informazione e invia comandi alla milza; e la milza stessa, che risponde producendo il PlGF, una molecola già nota per la sua importanza nei processi di crescita e riparazione dei tessuti. E si torna di nuovo al cuore: il PlGF stimola dei particolari macrofagi residenti in questo organo esprimenti il recettore Neuropilina-1. Queste cellule immunitarie, stimolate da PlGF, proliferano per favorire una risposta strutturale che consente al muscolo cardiaco di sopportare meglio la pressione elevata.

Lo studio non si è limitato agli esperimenti su modelli animali. Gli scienziati hanno infatti osservato che, anche in pazienti ipertesi, i livelli di PlGF nel sangue aumentano parallelamente ai segni di un rimodellamento del cuore. Inoltre, è stata individuata l’espressione di una particolare proteina, Neuropilina-1, nei macrofagi del tessuto cardiaco umano, confermando l’esistenza di un meccanismo simile anche nella nostra specie.

“Questa scoperta – commenta Daniela Carnevale, Professore Ordinario dell’Università Sapienza di Roma e Irccs Neuromed, ultimo nome e autore di riferimento dello studio – apre nuove prospettive nella comprensione di come il sistema nervoso e quello immunitario lavorino insieme per governare la risposta del cuore nei processi patologici che portano allo scompenso cardiaco. In futuro, potremmo immaginare strategie terapeutiche capaci di modulare questa risposta naturale per prevenire l’evoluzione dell’insufficienza cardiaca”.

Lo studio ha coinvolto ricercatori provenienti da diversi Istituti internazionali tra cui l’Università di Manchester, l’Università di Toronto e l’Università di Edimburgo, a testimonianza di una collaborazione scientifica globale su un tema di grande impatto per la salute pubblica.

Fonte: askanews.it